Il sistema previdenziale pubblico: INPS

 – Le forme di tutela previdenziale per i lavoratori dipendenti, gli artigiani e i commercianti

L’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) è il principale ente previdenziale del sistema pensionistico pubblico italiano, presso cui debbono essere obbligatoriamente iscritti tutti i lavoratori dipendenti pubblici o privati e la maggior parte dei lavoratori autonomi, che non abbiano una propria cassa previdenziale autonoma.

Dalla fondazione del primo istituto, antenato dell’INPS, nel 1898, il regime pensionistico e le tutele per le forme di invalidità e inabilità sono profondamente cambiate, passando da un regime retributivo a uno contributivo.

In questo articoli proveremo a tracciare le linee guida generali del sistema previdenziale sia per i dipendenti del settore pubblico che per quelli del settore privato, inclusi gli artigiani e i commercianti che afferiscono a categorie a parte, cercando di individuare le criticità e gli eventuali punti di forza, focalizzando l’attenzione sempre sull’importanza di un sistema previdenziale complementare in grado di rispondere alle esigenze della persona.

Il sistema pensionistico dei lavoratori dipendenti del settore pubblico, iscritti all’ex INPDAP (Ente confluito all’INPS dall’1 gennaio 2012), è finanziato attraverso un prelievo contributivo rapportato alla retribuzione erogata. L’attuale aliquota contributiva destinata al fondo pensioni dei dipendenti pubblici è pari al 33%, di cui 8,80% per i dipendenti delle amministrazione statali e il 32,65% per i dipendenti degli enti locali e Asl, di cui 8,85% a carico del lavoratore dipendente. Sulla quota di retribuzione annua d’importo eccedente la cosiddetta retribuzione pensionabile (47.379 euro per l’anno 2020) è prevista un’aliquota maggiorata di un punto, a completo carico del dipendente. L’1% aggiuntivo non dà luogo però a pensione ma è di natura solidaristica. Per i lavoratori privi di anzianità contributiva alla data del 31 dicembre 1995 che si iscrivono a far data dall’1 gennaio 1996 a forme pensionistiche obbligatorie è stabilito un massimale annuo della base contributiva e pensionabile; tale massimale, fissato in lire 132 milioni per l’anno 1996, viene rivalutato annualmente sulla base dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (il limite relativo al 2020 è pari a 103.055 euro). Oltre tale limite di reddito non si versano i contributi e quindi la prestazione pensionistica è plafonata sul massimale contributivo.

I loro trattamenti pensionistici sono:

1) Pensione di vecchiaia. Viene riconosciuta qualora ricorrano contemporaneamente le seguenti condizioni: a) “compimento dell’età pensionabile” (67 anni, a prescindere dal sesso del lavoratore); b) “raggiungimento di determinati requisiti contributivi” (almeno 20 anni, salvo deroghe e ipotesi di anticipazione pensionistica); c) “cessazione del rapporto di lavoro dipendente”. Il diritto alla pensione di vecchiaia è riconosciuto quando il lavoratore possa far valere almeno 20 anni di contribuzione; al fine però di tutelare posizioni precedenti al 1993 (riforma Amato) è stabilito che si continuino ad applicare i precedenti requisiti (minimo di 15 anni) per i lavoratori che abbiano maturato 15 anni di contributi alla data del 31 dicembre 1992, per i lavoratori che al 31 dicembre 1992 risultino ammessi alla prosecuzione volontaria (non è richiesto che l’assicurato ammesso alla prosecuzione volontaria abbia anche effettuato versamenti anteriormente alla predetta data) e per i lavoratori che possano far valere una anzianità assicurativa di almeno 25 anni e che siano stati occupati per almeno 10 per periodi di durata inferiore a 52 settimane nell’anno solare (i c.d. “precari”). È inoltre possibile ottenere la pensione di vecchiaia contributiva all’età di 71 anni sia per le donne che per gli uomini, con almeno 5 anni di contribuzione effettiva, volontaria e da riscatto (non valgono i contributi figurativi). Affinché però venga riconosciuta la pensione, l’importo del trattamento non deve risultare inferiore a 1,5 volte l’ammontare annuo dell’assegno sociale INPS (per il 2020 limite pari a 460,28 x 1,5 = euro 690,42 mensili). Si prescinde da quest’ultima condizione (1,5 volte l’assegno sociale), nel senso che la pensione viene comunque messa in pagamento, all’età di 71 anni e oltre, in presenza di un minimo di 5 anni di contribuzione effettiva. Il calcolo dell’assegno mensile finale è fatto sulla base del sistema attuato, se misto (retributivo-contributivo) o solo contributivo: alla data del pensionamento al montante contributivo, ossia la somma rivalutata dei versamenti effettuati, si applica un coefficiente di conversione che cresce con l’aumentare dell’età.

PUNTO DI FORZA: Lo Stato garantisce una pensione di vecchiaia sicura e parametrata sulla base di un sistema contributivo (o misto), secondo il montante versato e rivalutato.

CRITICITA’: I contributi versati garantiscono, secondo il calcolo previsto, un assegno mensile erogato spesso lontano dai fabbisogni individuati dal percettore e se non ha versato in maniera puntuale e cadenzata per tutto il periodo richiesto si ritrova a percepire una pensione minima sociale o del 50%-60% dell’ultimo stipendio percepito.

2) Pensione di invalidità. E’ riconosciuta solo se la percentuale è uguale o superiore ai 74 punti (o 67% in ipotesi lavorative) ed è pari a una cifra fissa mensile, salvo che non faccia cumulo con il reddito. Sotto il 75% sono previste forme agevolate non economiche, come esenzioni e preferenze.

PUNTO DI FORZA: Lo Stato garantisce un’erogazione economica a partire dai 2/3 di invalidità.

CRITICITA’: Lo Stato garantisce un’erogazione economica a partire da una soglia troppo alta (67% o 75%) rispetto al ventaglio di ipotesi invalidanti che possono colpire il lavoratore e renderlo comunque parzialmente incapace di svolgere le sue abitudinarie mansioni.

3) Pensione di inabilità. Si tratta della la stessa prestazione prevista per i dipendenti del settore privato. Il soggetto riconosciuto inabile, che si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa ha diritto ad una pensione costituita dal trattamento effettivamente maturato sulla base della contribuzione versata, maggiorato di una quota pari a quella che avrebbe maturato se avesse continuato a lavorare sino all’età di 60 anni (uomini e donne), entro il limite di 40 anni. Ai fini del perfezionamento del diritto la pensione di inabilità è richiesto il possesso di un minimo di 5 anni di contribuzione, di cui almeno 3 anni presenti nel quinquennio precedente la presentazione della domanda. Il dipendente pubblico può essere collocato a riposo a seguito di accertamento dello stato di salute se viene riscontrata una delle seguenti condizioni: inabilità assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro, ovvero inabilità assoluta e permanente alle mansioni svolte. Indipendentemente dall’età anagrafica, il diritto al trattamento di pensione richiede almeno: a) 14 anni, 11 mesi e 16 giorni di servizio utile, in caso di collocamento a riposo per inabilità assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro; b) 19 anni, 11 mesi e 16 giorni di servizio utile, in caso di collocamento a riposo per inabilità assoluta e permanente alle mansioni svolte. Gli iscritti alla Cassa Stato cessati dal servizio per infermità non dipendente da causa di servizio hanno diritto a pensione di inabilità se hanno almeno 15 anni di servizio effettivo (14 anni, 11 mesi e 16 giorni).

PUNTO DI FORZA: Lo Stato garantisce un’erogazione economica in caso di inabilità e un plus aggiuntivo (accompagnamento) in caso di non autosufficienza.

CRITICITA’: Lo Stato garantisce un’erogazione economica sempre insufficiente rispetto alle normali esigenze di vita di una persona inabile o non autosufficiente.

4) Pensione per i superstiti. Il diritto alla pensione in favore dei superstiti sorge in caso di decesso del pensionato oppure del lavoratore in attività, a condizione che quest’ultimo, al momento del decesso, possa far valere almeno 15 anni di contribuzione, ovvero 5 anni, di cui almeno 3 versati nel quinquennio precedente la data della morte. I superstiti beneficiari possono classificarsi in tre gruppi: il coniuge e i figli (minorenni, maggiorenni studenti sino a 21 anni ed universitari sino a 26 anni, ovvero inabili e a carico del genitore defunto), i genitori, i fratelli e le sorelle (in mancanza di coniuge e figli). La misura della pensione è stabilita in una quota dell’intero importo del trattamento già liquidato al lavoratore o che a lui sarebbe spettato. Le quote sono le seguenti: coniuge solo: 60%; coniuge e un figlio: 80%; coniuge e due o più figli: 100%. Qualora abbiano diritto a pensione soltanto i figli, ovvero i genitori o i fratelli o sorelle, le aliquote sono le seguenti: un figlio: 70%; due figli: 80%; tre o più figli:100%; un genitore: 15 %; due genitori: 30%; un fratello o sorella: 15%. La pensione ai superstiti non può, in alcun caso, risultare superiore all’intero ammontare della rendita della quale risultava titolare, o che sarebbe spettata al lavoratore deceduto. Se il totale delle aliquote riferite a tutti i familiari supera il 100%, la pensione ai superstiti deve intendersi così ripartita: se superstiti sono il coniuge e tre o più figli, al coniuge spetta il 60%; il restante 40% va diviso in parti uguali tra i figli; se superstiti sono 3 o più figli, l’intero importo va diviso in parti uguali tra i beneficiari. La pensione attribuita ai superstiti, qualora il beneficiario faccia parte di un nucleo familiare dove non vi siano figli minori, studenti o inabili, è corrisposta nella misura ridotta: al 75 %, in presenza di redditi imponibili Irpef (escluso quello della casa di abitazione) d’importo annuo superiore a 3 volte il trattamento minimo INPS; al 60%, in presenza di redditi d’importo annuo superiore a 4 volte il trattamento minimo; al 50%, in presenza di redditi imponibili Irpef d’importo annuo superiore a 5 volte il trattamento minimo INPS (Legge 335/1995). Ai fini della cumulabilità sono valutati i redditi assoggettabili all’IRPEF, al netto dei contributi previdenziali, con esclusione dei trattamenti di fine rapporto comunque denominati e relative anticipazioni, del reddito della casa di abitazione e delle competenze arretrate sottoposte a tassazione separata. In ogni caso non deve essere valutato l’importo della pensione ai superstiti interessata alla riduzione. Il minimo INPS del 2020 è di 6.702,58 euro annui, pari a 515,58 euro mensili.

PUNTO DI FORZA: Lo Stato garantisce un’erogazione economica ai familiari diretti in caso di premorienza del lavoratore.

CRITICITA’: Lo Stato garantisce un’erogazione economica sempre insufficiente rispetto alle aspettative di vita e in caso di cumulo la somma economica può anche azzerarsi, diminuendo così la qualità della vita dei familiari superstiti.

Il sistema pensionistico dei lavoratori dipendenti del settore privato, iscritti all’ex INPDAP (Ente confluito all’INPS dall’1 gennaio 2012), è finanziato attraverso un prelievo contributivo rapportato alla retribuzione erogata. La retribuzione imponibile ai fini del versamento della contribuzione previdenziale è costituita da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. La retribuzione utilizzata per il versamento dei contributi costituisce anche la retribuzione presa a base per il calcolo della pensione. L’attuale aliquota contributiva destinata al fondo pensioni è pari al 33% della retribuzione imponibile, così suddivisa: 23,81% a carico azienda e 9,19% a carico del lavoratore. Sulla quota di retribuzione annua, d’importo eccedente la cosiddetta prima fascia di retribuzione annua pensionabile (47.379 euro annui) è prevista un’aliquota maggiorata di un punto (34%) a completo carico del dipendente, che versa quindi il 10,19%. L’1% aggiuntivo non dà luogo alla pensione, ma è di natura solidaristica.

I loro trattamenti pensionistici sono identici a quelli identificati per il settore pubblico, con alcune differenze di dettaglio che in questa sede non sono opportune sottolineare.

Il sistema pensionistico dei commercianti si fonda su un’aliquota contributiva per il 2020 al 24,09%, con l’eccezione dei familiari collaboratori di età fino ai 21 anni che pagano invece il 21,99%. Nel dettaglio, per gli iscritti alla gestione degli esercenti attività commerciali, all’aliquota contributiva di base del 24,00% deve essere sommato lo 0,09% a titolo di aliquota aggiuntiva e destinato ad alimentare l’indennizzo per la cessazione definitiva dell’attività commerciale. Dovuto inoltre un contributo per le prestazioni di maternità stabilito, per gli iscritti alle gestioni degli artigiani e dei commercianti, nella misura di 0,62 euro mensili. Attenzione però alle fasce alte! L’aliquota è elevata di un punto (25,09%) per la quota di reddito d’impresa eccedente il cosiddetto “tetto” pensionabile dei lavoratori dipendenti, pari a 47.379 euro per il 2020.

I loro trattamenti pensionistici sono identici a quelli identificati per il settore pubblico, con alcune differenze di dettaglio che in questa sede non sono opportune sottolineare.

Il sistema pensionistico degli artigiani si fonda su un’aliquota contributiva è fissata in misura pari al 24,00%, aliquota che continuerà a incrementarsi annualmente di una misura pari allo 0,45 punti percentuali, sino al raggiungimento della soglia del 24%. L’aliquota è elevata di un punto (25,00%) per la quota di reddito d’impresa eccedente il cosiddetto “tetto” pensionabile dei lavoratori dipendenti, pari a 43.379 euro per il 2020. Previsto invece uno “sconto” per i familiari collaboratori di età fino ai 21 anni, che pagano il 21,90%.

I loro trattamenti pensionistici sono identici a quelli identificati per il settore pubblico, con alcune differenze di dettaglio che in questa sede non sono opportune sottolineare.

Quel che è chiaro ed emerge in maniera lampante è la necessità di integrare il sistema pubblico con le forme previdenziali complementari! E se davvero vogliamo assicurarsi una base solida, l’accensione di un piano pensionistico complementare dev’essere fatto quanto prima, sia per usufruire di agevolazioni fiscali e un regime di tassazione più clemente, sia perché tanto più abbiamo tempo tanto più sarà facile accumulare il capitale su cui verrà applicata l’aliquota di conversione e l’ammontare dell’esatta consistenza dell’assegno pensionistico erogabile.